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							Una Poesia al giorno, alimenta la vita che hai intorno.[CENTER]Io pronuncio il tuo nome 
 *****Io pronuncio il tuo nome 
 nelle notti oscure,
 quando giungono gli astri
 a bere nella luna,
 e dormono i rami
 delle fronde occulte.
 Ed io mi sento vuoto
 di passione e di musica.
 Folle orologio che canta
 antiche ore defunte.Io pronuncio il tuo nome* * 
 in questa notte oscura,
 e il tuo nome mi suona
 più lontano che mai.
 Più lontano di tutte le stelle
 e più dolente della mite pioggia.Ti amerò come allora* * 
 qualche volta? Che colpa
 ha commesso il mio cuore?
 Se la nebbia si scioglie
 quale nuova passione mi aspetta?
 Sarà tranquilla e pura?
 Se potessi sfogliare
 con le dita la luna!!*Federico Garcia Lorca 
 (poeta e drammaturgo spagnolo, 1898-1936)
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							Ciao Web Designer e bentornato su questi schermi!!! Regali sempre un'emozione in più  
 
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							[CENTER] 
 Afrodite dal trono dipinto,
 Afrodite immortale, figlia di Zeus,
 tessitrice d'inganni, ti prego,
 non domare con pene e con ansie d'amore,
 o Regina, il mio cuore.E qui vieni. Altra volta venisti; 
 pur di lontano udisti la mia voce,
 e del padre lasciasti la reggia
 su l'aureo cocchio aggiogato.Te conducevano leggiadri passeri snelli 
 sopra la nera terra
 fitte agitando giu' dal cielo le ali
 per gli eterei spazi.Rapidamente giunsero. E tu, o Beata, 
 sorridendo dal tuo volto immortale,
 mi chiedevi che pena ancora pativo,
 che cosa ancora invocavo,e chi nel mio cuore in delirio 
 follemente desideravo - "Chi cerchi
 che ancora Peito riporti al tuo amore?
 chi ti fa male, o Saffo?Oh, ma se ora ti fugge, presto t'inseguira', 
 se doni rifiuta, presto doni fara',
 se gia' non ti ama, presto ti amera',
 anche contro sua voglia".Vieni a me anche ora: da cosi' triste 
 pena di amore mi sciogli; quanto
 brama il mio cuore si compia, tu compi;
 tu stessa mi assisti.Saffo 
 (poetessa greca, VII sec. a.C.)
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							[CENTER]1 
 Presto qualcuno ponga intorno al collo
 intrecciate ghirlande di aneto
 e sul petto mi versi soave profumo.2 
 Odo giungere la primavera
 vestita di fiori...
 Su presto! mescete un cratere di vino
 e dolce esso sia...Alceo 
 (poeta greco, VII sec. a.C.)
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							Web Designer, se non ci fossi dovrebbero inventarti  
 
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							[CENTER]Uomo, non dire mai cosa avverrà domani, 
 né, se vedi altro felice, quanto tempo lo sarà,
 ché neppure il volo ad ali distese della mosca
 sarà così veloce come il mutare delle vicende umane.Simonide di Ceo 
 (poeta lirico greco, 556-468 o 467 a.C.)
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							Qui su l?arida schiena 
 Del formidabil monte
 Sterminator Vesevo,
 La qual null?altro allegra arbor né fiore,
 Tuoi cespi solitari intorno spargi,
 Odorata ginestra,
 Contenta dei deserti. Anco ti vidi
 De? tuoi steli abbellir l?erme contrade
 Che cingon la cittade
 La qual fu donna de? mortali un tempo,
 E del perduto impero
 Par che col grave e taciturno aspetto
 Faccian fede e ricordo al passeggero.
 Or ti riveggo in questo suol, di tristi
 Lochi e dal mondo abbandonati amante,
 E d?afflitte fortune ognor compagna.
 Questi campi cosparsi
 Di ceneri infeconde, e ricoperti
 Dell?impietrata lava,
 Che sotto i passi al peregrin risona;
 Dove s?annida e si contorce al sole
 La serpe, e dove al noto
 Cavernoso covil torna il coniglio;
 Fur liete ville e colti,
 E biondeggiàr di spiche, e risonaro
 Di muggito d?armenti;
 Fur giardini e palagi,
 Agli ozi de? potenti
 Gradito ospizio; e fur città famose
 Che coi torrenti suoi l?altero monte
 Dall?ignea bocca fulminando oppresse
 Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
 Una ruina involve,
 Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
 I danni altrui commiserando, al cielo
 Di dolcissimo odor mandi un profumo,
 Che il deserto consola. A queste piagge
 Venga colui che d?esaltar con lode
 Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
 È il gener nostro in cura
 All?amante natura. E la possanza
 Qui con giusta misura
 Anco estimar potrà dell?uman seme,
 Cui la dura nutrice, ov?ei men teme,
 Con lieve moto in un momento annulla
 In parte, e può con moti
 Poco men lievi ancor subitamente
 Annichilare in tutto.
 Dipinte in queste rive
 Son dell?umana gente
 Le magnifiche sorti e progressive.Qui mira e qui ti specchia, 
 Secol superbo e sciocco,
 Che il calle insino allora
 Dal risorto pensier segnato innanti
 Abbandonasti, e volti addietro i passi,
 Del ritornar ti vanti,
 E procedere il chiami.
 Al tuo pargoleggiar gl?ingegni tutti,
 Di cui lor sorte rea padre ti fece,
 Vanno adulando, ancora
 Ch?a ludibrio talora
 T?abbian fra sé. Non io
 Con tal vergogna scenderò sotterra;
 Ma il disprezzo piuttosto che si serra
 Di te nel petto mio,
 Mostrato avrò quanto si possa aperto:
 Ben ch?io sappia che obblio
 Preme chi troppo all?età propria increbbe.
 Di questo mal, che teco
 Mi fia comune, assai finor mi rido.
 Libertà vai sognando, e servo a un tempo
 Vuoi di novo il pensiero,
 Sol per cui risorgemmo
 Della barbarie in parte, e per cui solo
 Si cresce in civiltà, che sola in meglio
 Guida i pubblici fati.
 Così ti spiacque il vero
 Dell?aspra sorte e del depresso loco
 Che natura ci diè. Per questo il tergo
 Vigliaccamente rivolgesti al lume
 Che il fe? palese: e, fuggitivo, appelli
 Vil chi lui segue, e solo
 Magnanimo colui
 Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
 Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.Uom di povero stato e membra inferme 
 Che sia dell?alma generoso ed alto,
 Non chiama sé né stima
 Ricco d?or né gagliardo,
 E di splendida vita o di valente
 Persona infra la gente
 Non fa risibil mostra;
 Ma sé di forza e di tesor mendico
 Lascia parer senza vergogna, e noma
 Parlando, apertamente, e di sue cose
 Fa stima al vero uguale.
 Magnanimo animale
 Non credo io già, ma stolto,
 Quel che nato a perir, nutrito in pene,
 Dice, a goder son fatto,
 E di fetido orgoglio
 Empie le carte, eccelsi fati e nove
 Felicità, quali il ciel tutto ignora,
 Non pur quest?orbe, promettendo in terra
 A popoli che un?onda
 Di mar commosso, un fiato
 D?aura maligna, un sotterraneo crollo
 Distrugge sì, che avanza
 A gran pena di lor la rimembranza.
 Nobil natura è quella
 Che a sollevar s?ardisce
 Gli occhi mortali incontra
 Al comun fato, e che con franca lingua,
 Nulla al ver detraendo,
 Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
 E il basso stato e frale;
 Quella che grande e forte
 Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l?ire
 Fraterne, ancor più gravi
 D?ogni altro danno, accresce
 Alle miserie sue, l?uomo incolpando
 Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
 Che veramente è rea, che de? mortali
 Madre è di parto e di voler matrigna.
 Costei chiama inimica; e incontro a questa
 Congiunta esser pensando,
 Siccome è il vero, ed ordinata in pria
 L?umana compagnia,
 Tutti fra sé confederati estima
 Gli uomini, e tutti abbraccia
 Con vero amor, porgendo
 Valida e pronta ed aspettando aita
 Negli alterni perigli e nelle angosce
 Della guerra comune. Ed alle offese
 Dell?uomo armar la destra, e laccio porre
 Al vicino ed inciampo,
 Stolto crede così qual fora in campo
 Cinto d?oste contraria, in sul più vivo
 Incalzar degli assalti,
 Gl?inimici obbliando, acerbe gare
 Imprender con gli amici,
 E sparger fuga e fulminar col brando
 Infra i propri guerrieri.
 Così fatti pensieri
 Quando fien, come fur, palesi al volgo,
 E quell?orror che primo
 Contra l?empia natura
 Strinse i mortali in social catena,
 Fia ricondotto in parte
 Da verace saper, l?onesto e il retto
 Conversar cittadino,
 E giustizia e pietade, altra radice
 Avranno allor che non superbe fole,
 Ove fondata probità del volgo
 Così star suole in piede
 Quale star può quel ch?ha in error la sede.Sovente in queste rive, 
 Che, desolate, a bruno
 Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
 Seggo la notte; e su la mesta landa
 In purissimo azzurro
 Veggo dall?alto fiammeggiar le stelle,
 Cui di lontan fa specchio
 Il mare, e tutto di scintille in giro
 Per lo vòto seren brillare il mondo.
 E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
 Ch?a lor sembrano un punto,
 E sono immense, in guisa
 Che un punto a petto a lor son terra e mare
 Veracemente; a cui
 L?uomo non pur, ma questo
 Globo ove l?uomo è nulla,
 Sconosciuto è del tutto; e quando miro
 Quegli ancor più senz?alcun fin remoti
 Nodi quasi di stelle,
 Ch?a noi paion qual nebbia, a cui non l?uomo
 E non la terra sol, ma tutte in uno,
 Del numero infinite e della mole,
 Con l?aureo sole insiem, le nostre stelle
 O sono ignote, o così paion come
 Essi alla terra, un punto
 Di luce nebulosa; al pensier mio
 Che sembri allora, o prole
 Dell?uomo? E rimembrando
 Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
 Il suol ch?io premo; e poi dall?altra parte,
 Che te signora e fine
 Credi tu data al Tutto, e quante volte
 Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
 Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
 Per tua cagion, dell?universe cose
 Scender gli autori, e conversar sovente
 Co? tuoi piacevolmente, e che i derisi
 Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
 Fin la presente età, che in conoscenza
 Ed in civil costume
 Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
 Mortal prole infelice, o qual pensiero
 Verso te finalmente il cor m?assale?
 Non so se il riso o la pietà prevale.Come d?arbor cadendo un picciol pomo, 
 Cui là nel tardo autunno
 Maturità senz?altra forza atterra,
 D?un popol di formiche i dolci alberghi,
 Cavati in molle gleba
 Con gran lavoro, e l?opre
 E le ricchezze che adunate a prova
 Con lungo affaticar l?assidua gente
 Avea provvidamente al tempo estivo,
 Schiaccia, diserta e copre
 In un punto; così d?alto piombando,
 Dall?utero tonante
 Scagliata al ciel profondo,
 Di ceneri e di pomici e di sassi
 Notte e ruina, infusa
 Di bollenti ruscelli
 O pel montano fianco
 Furiosa tra l?erba
 Di liquefatti massi
 E di metalli e d?infocata arena
 Scendendo immensa piena,
 Le cittadi che il mar là su l?estremo
 Lido aspergea, confuse
 E infranse e ricoperse
 In pochi istanti: onde su quelle or pasce
 La capra, e città nove
 Sorgon dall?altra banda, a cui sgabello
 Son le sepolte, e le prostrate mura
 L?arduo monte al suo piè quasi calpesta.
 Non ha natura al seme
 Dell?uom più stima o cura
 Che alla formica: e se più rara in quello
 Che nell?altra è la strage,
 Non avvien ciò d?altronde
 Fuor che l?uom sue prosapie ha men feconde.Ben mille ed ottocento 
 Anni varcàr poi che spariro, oppressi
 Dall?ignea forza, i popolati seggi,
 E il villanello intento
 Ai vigneti, che a stento in questi campi
 Nutre la morta zolla e incenerita,
 Ancor leva lo sguardo
 Sospettoso alla vetta
 Fatal, che nulla mai fatta più mite
 Ancor siede tremenda, ancor minaccia
 A lui strage ed ai figli ed agli averi
 Lor poverelli. E spesso
 Il meschino in sul tetto
 Dell?ostel villereccio, alla vagante
 Aura giacendo tutta notte insonne,
 E balzando più volte, esplora il corso
 Del temuto bollor, che si riversa
 Dall?inesausto grembo
 255Su l?arenoso dorso, a cui riluce
 Di Capri la marina
 E di Napoli il porto e Mergellina.
 E se appressar lo vede, o se nel cupo
 Del domestico pozzo ode mai l?acque
 Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
 Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
 Di lor cose rapir posson, fuggendo,
 Vede lontan l?usato
 Suo nido, e il picciol campo,
 Che gli fu dalla fame unico schermo,
 Preda al flutto rovente,
 Che crepitando giunge, e inesorato
 Durabilmente sovra quei si spiega.
 Torna al celeste raggio
 Dopo l?antica obblivion l?estinta
 Pompei, come sepolto
 Scheletro, cui di terra
 Avarizia o pietà rende all?aperto;
 E dal deserto foro
 Diritto infra le file
 Dei mozzi colonnati il peregrino
 Lunge contempla il bipartito giogo
 E la cresta fumante,
 Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
 E nell?orror della secreta notte
 Per li vacui teatri,
 Per li templi deformi e per le rotte
 Case, ove i parti il pipistrello asconde,
 Come sinistra face
 Che per vòti palagi atra s?aggiri,
 Corre il baglior della funerea lava,
 Che di lontan per l?ombre
 Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
 Così, dell?uomo ignara e dell?etadi
 Ch?ei chiama antiche, e del seguir che fanno
 Dopo gli avi i nepoti,
 Sta natura ognor verde, anzi procede
 Per sì lungo cammino
 Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
 Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
 E l?uom d?eternità s?arroga il vanto.E tu, lenta ginestra, 
 Che di selve odorate
 Queste campagne dispogliate adorni,
 Anche tu presto alla crudel possanza
 Soccomberai del sotterraneo foco,
 Che ritornando al loco
 Già noto, stenderà l?avaro lembo
 Su tue molli foreste. E piegherai
 Sotto il fascio mortal non renitente
 Il tuo capo innocente:
 Ma non piegato insino allora indarno
 Codardamente supplicando innanzi
 Al futuro oppressor; ma non eretto
 Con forsennato orgoglio inver le stelle,
 Né sul deserto, dove
 E la sede e i natali
 Non per voler ma per fortuna avesti;
 Ma più saggia, ma tanto
 Meno inferma dell?uom, quanto le frali
 Tue stirpi non credesti
 O dal fato o da te fatte immortali.Giacomo Leopardi [1798-1837] 
 
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							[CENTER]****Lunga è la notte d'inverno, 
 il sole tramonta fra le Pleiadi
 e io sono là, bagnato, alla sua porta,
 colpito dal desiderio dell'ingannatrice.
 No, non è amore questo
 che mi ha mandato Afrodite,
 ma una freccia angosciosa di fuoco.Asclepiade di Samo 
 (poeta greco antico, ante 310 a.C. ? ...)
 [/CENTER]
 
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							Come è forte il rumore dell'alba! 
 Fatto di cose più che di persone.
 Lo precede talvolta un fischio breve,
 una voce che lieta sfida il giorno.
 Ma poi nella città tutto è sommerso.
 E la mia stella è quella stella scialba
 mia lenta morte senza disperazione.[Sandro Penna] 
 
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@Web Designer said: [CENTER]Afrodite immortale, figlia di Zeus, 
 tu che intrecci inganni...
 Saffo
 (poetessa greca, VII sec. a.C.)
 [/CENTER]Vorrei chiedere la rimozione, visto che la poesia è stata copiata dal mio sito: miezewau.it /saffo.htm Le poesie di Saffo sono tratte dal libro " A Erato " 
 di Augusto Caraceni, De Luca Editore, Roma 1958
 Vietata la riproduzione in altre pagine web, considerato
 che non sono passati 70 anni dalla morte del traduttore.
 
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@Web Designer said: [CENTER]1 
 Presto qualcuno ponga intorno al collo
 intrecciate ghirlande di aneto...
 Alceo
 (poeta greco, VII sec. a.C.)
 [/CENTER]Vorrei chiedere la rimozione, visto che la poesia è stata copiata dal mio sito: miezewau.it /alceo.htm I frammenti di Alceo sono tratti dal libro " A Erato " 
 di Augusto Caraceni, De Luca Editore, Roma 1958
 Vietata la riproduzione in altre pagine web, considerato
 che non sono passati 70 anni dalla morte del traduttore.
 
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@Web Designer said: [CENTER]Uomo, non dire mai cosa avverrà domani... 
 Simonide di Ceo
 (poeta lirico greco, 556-468 o 467 a.C.)
 [/CENTER]Vorrei chiedere la rimozione, visto che l'epigramma è stato copiato dal mio sito: miezewau.it /simonide.htm Le poesie di Simonide di Ceo sono tratte dal libro "A Erato" 
 di Augusto Caraceni, De Luca Editore, Roma 1958
 Vietata la riproduzione in altre pagine web, considerato
 che non sono passati 70 anni dalla morte del traduttore.Il motivo per le mie richieste è che Google ora ha indicizzato queste poesie dal vostro forum, ignorando il sito originale. Confidando nella vostra comprensione, vi mando un saluto 
 katharina